DOF or DOA? The PSVR2 casus (5 minutes read)
DOF O DOA? IL CASUS PSVR2 (tempo di lettura: 5 minuti)
Sulla scia di un articolo nel quale si svela che Sony avrebbe ridotto del 50% le previsioni di vendita legate a PlayStation VR 2, emerge in modo sempre più evidente uno scollamento tra la percezione del progetto da parte del pubblico, e la visione che Sony stessa ne ha. Del resto, se le vicende del precedente device avessero qualcosa da dire, parlerebbero di un’iniziativa volta a popolarizzare il medium attraverso una linea di prodotti abbordabili, vivaci sul piano dei contenuti e sostenuti da campagne pubblicitarie avvincenti. A giudizio di molti, ciò che arriverà nei negozi dal 22 Febbraio in poi sembra non poter contare su nessuna tra queste caratteristiche, il che porta a domandarsi cosa la casa giapponese abbia imparato non solo dall’esperienza di PSVR, ma anche dalle sorti di altri suoi progetti collaterali.
Volendo in qualche modo tentare di comprendere questo atteggiamento, e avendo peraltro già reso ben chiara la nostra posizione generale circa il futuro del medium, occorre rivolgersi alle specifiche problematiche dell’iniziativa di Sony con sguardo pragmatico, ed è quanto si cercherà di fare in questa sede. Che PSVR2 dovesse costituire un notevole salto di qualità rispetto al predecessore andava da sé; meno ovvie erano forse le implicazioni del poggiare su una console esponenzialmente più potente di PS4, e quindi l’eventualità che la progettazione del visore virasse verso specifiche più ambiziose come poi è avvenuto. Tutto ciò ha comportato non soltanto lo sforamento del price range “ideale”, ma anche uno scostamento della periferica da quello status di “opzione economica” che ha portato il modello originale (molto lentamente, bisogna dire) oltre i 5 milioni di esemplari venduti. La parte progettuale, però, costituisce solo un tassello del puzzle.
Quale messaggio inferisce Sony nel momento in cui allinea il prezzo della periferica a quello della console di riferimento? La cifra non rappresenta soltanto un obiettivo nel quale rientrare tra sviluppo, produzione e ricarico, ma comunica un giudizio di valore per cui dal punto di vista di chi produce, i due oggetti si equivalgono; nel caso specifico di PSVR2 e PS5, si parla di device progettati in tandem e quindi molto meglio integrati di quanto non fossero PSVR e PS4. D’altra parte, il fatto che il pubblico delle console abbia elevato i 399$ di PSVR (cartellino datato 2016) a soglia di spesa “ideale” nonché massima da devolvere alla causa della Realtà Virtuale costituisce un ragionevole equivoco rispetto alla ratio di Sony, conseguenza dalle oggettive debolezze del device in materia di comfort d’uso, ma anche un chiaro segno di diffidenza rispetto all’idea che il nuovo modello possa offrire un’esperienza di fondo oggettivamente superiore - cosa che le recenti preview confermano senza remore.
Acclarata la bontà tecnica di PSVR2, l’altro nodo da sciogliere riguarda il livello di supporto. Volgendo un attimo lo sguardo al passato, sarebbe semplicemente insincero sostenere che nell’alveo della softeca PSVR non ci siano dimostrazioni convincenti del potenziale del mezzo. Ciò di cui si dubita oggi, peraltro lecitamente, è che Sony creda nella sua iniziativa al punto da non limitare il proprio impegno al push iniziale, cosa che condannerebbe il nuovo headset ad una sorte non dissimile da quella di PS Vita; in questo senso, il fatto che a meno di un mese dal lancio la campagna pubblicitaria dedicata possa tranquillamente definirsi sottotono (ovvero del tutto insufficiente) non è certo un segnale positivo. Ciò di cui si sente la mancanza è anzitutto una comunicazione ponderata e rassicurante da parte del colosso giapponese che sappia inquadrare lo scostamento dal presunto “price tag ideale” in un contesto fatto di vantaggi ben più importanti, tutt’altro che immaginari: nei fatti, PSVR2 è supportato da un’infrastruttura interna che per proporzioni e coesione surclassa qualsiasi cosa su cui PS Vita abbia potuto contare durante il suo arco vitale; sarebbe sciocco pensare che la poderosa espansione dei PlayStation Studios, segnata da una fortissima tensione transmediale, sia avvenuta senza alcuna progettualità di fondo per la Virtual Reality. Sviluppatori storici e nuove leve coopereranno per far sì che le sempre crescenti IP del gruppo possano supportare la periferica integralmente, come nel caso di Gran Turismo 7, con modalità dedicate o tramite spin-off di spessore in stile Horizon: Call of the Mountain.
E’ importante che Sony faccia capire chiaramente al pubblico di non voler mollare la presa stavolta, impegnandosi a tenere alta l’attenzione sul device anche nell’eventualità di vendite ridotte sul medio periodo. A prescindere dalla veridicità del rapporto di Bloomberg, seccamente smentito dal colosso giapponese a poche ore dalla sua pubblicazione, è improbabile che gli utenti procedano all’acquisto di PSVR2 quando magari la crisi dei semiconduttori ha permesso loro di venire in possesso di una PS5 soltanto adesso. Se le roadmap dei due device avessero rispettato i tempi previsti, i due acquisti sarebbero stati separati da una forbice temporale ben più ampia e sostenibile. Così non è stato, ma ciò non toglie che fare approdare con regolarità i grandi brand su PSVR2 (e in generale corroborare il parco software con titoli di vario profilo) aiuterebbe a tamponare la situazione più di quanto non avrebbe fatto uno slittamento temporale nel lancio dell’headset. Questo genere di impegno potrebbe gradualmente riportare la curva delle vendite verso livelli ottimali, se supportato da una comunicazione adeguata: in tal senso, a Sony spetta ancora la fondamentale responsabilità di strutturare il linguaggio commerciale del medium, fornendo al resto degli operatori di settore le giuste coordinate per orientarsi - e prosperare - nel mare del mercato di massa.
In chiusura d’articolo, ci preme tornare brevemente su un punto già discusso in precedenza riguardante il futuro, l’impatto e l’importanza della Realtà Virtuale. La penetrazione della tecnologia nella vita quotidiana dell’utenza dipende fortemente “dall’offerta di attività il cui grado di convenienza ed utilità sia percepito come elevato da parte del consumatore” [*]. Allo stato attuale, l’esperienza degli operatori di settore pare indicare che applicazioni di Realtà Aumentata e Mista rispondano più efficacemente a questa esigenza rispetto alla Realtà Virtuale pura, per questioni essenzialmente pratiche: all’utente medio piace l’idea di avere un ausilio digitale on demand per orientarsi nel mondo e nelle proprie incombenze quotidiane, ottenendo le informazioni che gli servono tramite device comodi e preferibilmente indossabili. Tuttavia non bisogna permettere che l’appeal commerciale di questo specifico utilizzo causi un marchiano equivoco sulle vere prerogative del mezzo: la superimposizione di dati non ha nulla a che vedere con la cifra sensoriale di una VR capace di far sperimentare, in maniera autenticamente immersiva, un qualsiasi altrove.
L’immersione è espressione, tanto più libera e profonda quanto più l’utente può isolarsi dalla percezione di ciò che materialmente lo circonda; gli headset ed i relativi controller rappresentano quanto di più vicino a questa condizione il mercato consumer possa offrire, forse gli unici strumenti attraverso cui la VR può pervenire ad una pienezza comunicativa sulla cui utilità - per quanto ci dice il ruolo dell’intrattenimento nel contesto delle vicende umane recenti - non insistono dubbi di sorta.
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