Naturalmente, il paragone diventa molto piú calzante nell’ambito di quei giochi dove l’utente può muoversi in libertà nello spazio tridimensionale e quindi, cambiando il proprio punto di osservazione, accogliere nella pratica fotografica una marcata componente esplorativa. Non si tratta soltanto di scovare scorci, oggetti e fenomeni che durante la normale fase giocata potrebbero sfuggire, ma di poter comporre lo scatto - un risvolto espressivo di notevolissima potenza, capace di conferire dinamismo e significato anche a scene in cui azione e movimento sono solo accennati. Qui, il riferimento alle fotocamere usa e getta serve a sottolineare come ciò sia vero anche per le “modalità foto” meno sofisticate, ossia sprovviste di funzionalità quali congelamento della scena, visuale slegata dal punto di vista del personaggio controllato, riavvolgimento dell’azione, color grading, modifica di pose ed animazioni, controllo delle fonti di luce, delle condizioni meteo, dell’ora del giorno e tanto altro. Ognuna di queste caratteristiche permette all'utente di personalizzare esteticamente l'immagine, sovrascrivendo quello che è l'aspetto di default del mondo virtuale e quindi la sua naturale percezione. Poche prerogative corroborano il senso di immersione nel virtuale quanto quella di poter fondare al suo interno estetiche e geometrie nuove, di ridefinire la forma del ricordo. E poco importa quanto veloce o lento sia il gesto, quanto istintiva o studiata la ratio che conduce alla vista finale.